La politica industriale USA: un rinnovato "new deal" ?
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La politica industriale USA: un rinnovato "new deal" ?

L'elemento centrale della presidenza Biden é la politica industriale e commerciale, fortemente espansionista, e per molti detrattori anche imperialista, nei 78 anni trascorsi dalla fine dell'ultimo conflitto mondiale.

Negli ultimi tre anni abbiamo constatato non la fine, quanto il cambiamento della globalizzazione. I dati mostrano che gli investimenti diretti esteri sono arrivati nel 2007 ad un picco del 5,3% del PIL mondiale, per scendere al 1,3% nell 2020 (fonte Banca Mondiale). L'economia mondiale é ormai dominata da due stati, Cina e Stati Uniti, fra loro in competenza diretta, e sempre meno interdipendenti. Inoltre la crisi finanziaria iniziata nel 2008, e per certi versi ancora in atto, ha portato ad un ritorno del protezionismo e ad una riduzione delle liberalizzazioni commerciali. In stretta correlzione con questa situazione, il tema dell'immigrazione ha assunto ovunque un'importanza strategica sconosciuta nel passato, insiee al ritorno di istanze nazionaliste che erano rimaste sotto traccia per decenni.

Dopo la pandemia le principali potenze economiche hanno lanciato programmi giganteschi di spesa, per costruire infrastrutture e favorire le imprese nazionali rispetto alla concorrenza globale. Si tratta certamente di una nuova era della politica industriale. Il declino del commercio internazionale, la cosiddetta de-globalizzazione, era iniziato in realtà dopo crisi finanziaria del 2007. Ma la pandemia l'ha bruscamente accelerata e ha reso la geopolitica un fattore centrale della politica economica, anzi la politica commerciale è ormai essa stessa politica estera.

Nella sua crescita ventennale la globalizzazione aveva messo in crisi la politica industriale centralizzata negli Stati Uniti, costringendo i governi succedutisi a rivedere la strategia basata su alleanze politiche con sottostanti alleanze economiche. L'economia globalizzata si era adeguata al pensiero neo liberista americano dominante nell'ultimo ventennio del secolo scorso, basato sulla massimizzazione del profitto, ed era sempre più dominata da multinazionali, non solo di grandi dimensioni. Queste aziende hanno progressivamente svincolato dal territorio di origine il loro modo di funzionamento, con sistemi di approvvigionamento globali orientati solo all'efficienza massima della produzione. Questo credo aveva contagiato anche le economie concorrenti come quella cinese, che pure non condivide di certo i valori degli Stati Uniti.

I sistemi di produzione tradizionale sono stati sconvolti, con una riduzione talvolta drammatica di  posti di lavoro negli Stati Uniti, oltre che per le politiche di delocalizzazione, anche per la massiccia diffusione dell'automazione produttiva. Uulteriore conseguenza è stata una nuova frammentazione delle classi sociali, che presentano ormai nuove categorie definite da criteri inediti come le competenze digitali e la resistenza alla precarizzazione, mentre aumentava la disparità di reddito fra quella che un tempo era la classe media e le classi più elevate.

Negli Stati Uniti, e non solo, il cambiamento sociale indotto da questa modificazione economica ha portato ad una nuova configurazione della categoria del lavoro, in particolare dopo la pandemia, incrementando la fornitura di servizi come l'assistenza sanitaria e domiciliare, che comportano lo spostamento di molti posti di lavoro dalle grandi città a comunità più periferiche. Oltre a fare da base economica, la creazione di nuovi posti di lavoro di prossimità favorisce la solidità delle istituzioni locali, prima fra tutte quelle legate all'istruzione. Senza un vero nazionalismo economico, la prospettiva attuale sta consentendo agli USA di fare rientare dall'estero produzioni e posti di lavoro, favorendo poi le esportazioni di merci.

La rinnovata attenzione governativa alle realtà locali si rivela determinante per preservare la parte migliore della globalizzazione. I consumatori percepiscono chiaramente alcuni aspetti della globalizzazione, come la vicinanza virtuale dei fornitori grazie alle catene della logistica, che compensa l'assenza di protezionismo nella conservazione delle piccole imprese e dei loro posti di lavoro.

In questo quadro hanno assunto una nuova importanza gli accordi globali necessari per affrontare problemi come il cambiamento climatico, che  sono apparentemente contrari tanto agli intessi delle piccole comunità americane che dei paesi in via di sviluppo. Gli accordi di ampia portata si realizzano spesso con meccanismi poco democratici, in assenza di un sistema che rinforzi la coerenza fra governance globale e nazionale. Questa aspetto é evidenziato dalla maggiore crisi dei nostri tempi, quella climatica: l'adattamento ai cambiamenti climatici é complicato in un mondo regionalizzato, e la necessità di rinnovare il sistema alimentare rende necessario l'uso di nuove tecnologie con i correlati investimenti e finanziamenti che sono troppo alti per le economie meno solide. Anche in settori diversi dall'alimentare l'esperienza degli ultimi anni é stata singolare: ad esempio la produzione di mascherine durante la pandemia é aumentata enormemente in Cina, dove il virus aveva colpito inizialmente, proprio mentre il resto del mondo si fermava. Per questo la Cina è diventata il primo fornitore di quel prodotto, mentre poi molte fabbriche del settore tessile, negli Stati Uniti come in Europa, si velocemente sono riconvertite nella produzione delle mascherine.

La tendenza alla regionalizzazione non favorisce un approccio coordinato al problema del cambiamento climatico, che minaccia l'esistenza stessa dell'umanità, e tutti dovranno convincersi che la soluzione non può essere data da meno globalizzazione, ma da una migliore globalizzazione.

Dal punto di vista strettamente industriale, il punto di partenza della Presidenza Biden non era dei più comodi: bassi investimenti, scarsa crescita, crescente disuguaglianza e continua diminuzione del vantaggio competitivo dell'industria americana. La strategia industriale dell'amministrazione é stata centrata sulla collaborazione fra governo, industria e mondo del lavoro, per rilanciare il potenziale economico americano. Quattro provvedimenti di legge hanno concretizzato questa politica: American Rescue Plan, Bipartisan Infrastructure Law, CHIPS and Science Act e Inflation Reduction Act, per i quali il Presidente ha ottenuto un appoggio bipartisan (risicato) dal Congresso.

L'insieme della legisalzione approvata sta creando il cambiamento in quattro settori: infrastrutture, trasporti, innovazione tecnologica, energia pulita.

L'investimento aggregato favorito dalla strategia di Biden raggiunge l'astronomica cifra di 3.500 miliardi di dollari fra il 2021 e il 2031. Si tratta di un impegno che coinvolge insieme capitale pubblico e privato ed é principalmento diretto a reinstallare sul suolo americano le catene di approvvigionamento, e ricostruire la base industriale nazionale. Ne sono esempi concreti la nuova base produttiva e le catene di fornitura di semiconduttori di Intel in Ohio (20 miliardi di dollari già investiti). L'investimento per 1 miliardo di dollari di General Motors per realizzare componenti di veicoli elettrici, e una fabbrica di batterie agli ioni. Le fabbriche di pannelli solari di First Solar. L'impegno per 1,5 miliardi di dollari di Ford per riconvertire uno stabilimento di assemblaggio obsoleto. E anche produttori stranieri operanti negli Stati Uniti come la giapponese Honda e la coreana LG hanno annunciato l'intenzione di investire fino a 4,4 miliardi di dollari in un impianto di batterie per veicoli elettrici.

Mentre sino al 2020 il governo USA aveva seguito la tradizionale strada delle sovvenzioni dirette, l'amministrazione in carica ha scelto la strada del credito d'imposta a lungo termine, che rende più attraente per le aziende investire direttamente. Ad esempio in tema di idrogeno pulito, l'amministrazione ha promosso la costituzione di hub dell'idrogeno su base regionale che coinvolgono produttori, distributori e utenti finali. La stessa strategia viene seguita in altri settori, come l'acciaio, con il duplice obbiettivo di strutture più puliti e più competitive in termini di costi. Analogamente nello strategico settore dei semiconduttori, i chip così essenziali nell'era digitale, e così strettamente collegati alla sicurezza nazionale, il governo coordina investimenti pubblici e privati nell'intera catena di produzione e fornitura, per favorire lo sviluppo di tecnologie all'avanguardia. Questi esempi evidenziano una strategia che cambia le vecchie divisioni dei ruoli, ed è diretta ad influenzare la capacità di innovazione della prossima generazione. Il che porta alla parte successiva del piano di Biden.

Si tratta di coinvolgere nel lungo periodo la società americana orientandone lo sviluppo nei prossimi decenni. Ancora una volta un esempio chiarisce la strategia governativa: per le terre rare, materiali critici per molte moderne tecnologie, il sostegno a nuove forme di estrazione, lavorazione, riciclaggio e approvigionamento è stato programmato a partire dai luoghi di estrazione, produzione e distribuzione, ponendo rimedio alle storture che avevano distribuito in modo ineguale i benefici degli investimenti passati e della globalizzazione. Anche in questo caso la leva principale é il credito d'imposta.

Un altro dei settori trainanti e decisivi dell'economia, il digitale,era entrato in una crisi strutturale. Paradossalmente le società big tech hanno sofferto più di altre dei cambiamenti sociali e organizzativi imposti dalla pandemia e dall'onda lunga che oggi rischia di sommergerle. Più persone in tutto il mondo hanno lavorato da casa e si sono affidate maggiormente alla tecnologia per collaborare con i colleghi da remoto, cosa che avrebbe potuto favorire le aziende più avanzate in termini di tecnologia, che invece hanno annunciato riduzioni di personale dalle proporzioni preoccupanti. Inoltre molte delle più grandi aziende del settore hanno annunciato risultati finanziari in ribasso, anche per effetto dell'inflazione elevata e dell'aumento dei tassi di interesse. La crisi ha invesito grosse società di social media che lottano in particolare con il calo della pubblicità digitale: per Meta (Facebook e Instagram) la pubblicità era la principale fonte di reddito, ma è calata per il rallentamento dell'economia globale; inoltre, secondo alcuni esperti, la revisione strategica che colpisce le società di social media, sta rendendo molto più difficile tracciare il comportamento degli utenti attraverso le app e quindi creare profili affidabili per gli inserzionisti. Si calcola che almeno 150.000 posti di lavoro siano stati persi durante il 2022 nel settore dell'alta tecnologia.

Dopo che la Cina già nel 2015 aveva lanciato il programma "Made in China 2025", e che l'amministrazione Biden ha stanziato finanziamenti per l'economia verde e quella digitale di dimensioni mai viste prima, anche l'Europa sembra essersi risvegliata da un lungo letargo in materia. La Commissione Europea ha presentato il 16 marzo un progetto di legge per un'industria a zero emissioni, che per la prima volta pone le istituzioni di Bruxelles alla guida di un piano europeo di riconversione industriale. La Commissione ha ideato un piano di emergenza per fornire una soluzione strutturale all'interno del mercato unico, con la possibilità di armonizzare le norme per i servizi essenziali alle imprese, con il duplice obbiettivo di rafforzare l'autonomia strategia dell'Europa e accelerare la duplice transizione, digitale ed ecologica.

Le dimensioni, e la qualità delle ambizioni insite in questi piani industriali, rendono il successo della politica industriale sui due lati dell'Atlantico una conditio sine qua non per la conferma della posizione degli Stati Uniti nel mondo, e per lo sviluppo dell'Unione Europea. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, molti elementi di politica interna ed internazionale pongono dubbi sulla possibilità che tutto questo si realizzi compiutamente. E la rincorsa estremista fra opposizione repubblicana e trumpismo aveva portato il dibattito politico ben lontano dalla concretezza dei problemi. Nel campo democratico i dubbi sull'età avanzata del Presidente, ed alla adeguatezza della Vice Presidente Harris, rendendo molto incerta la rincorsa alla rielezione del 2024. L'Europa, in cui una crisi politica strutturale sembra colpire tutti i sistemi democratici, si trova di fronte all'ennesima scadenza vitale per la realizzazione dell'unità continentale. Ci si domanda se la debolezza interna dei governi nazionali potrà trovare una fonte di rinnovata energia e credibilità politica grazie alle politiche industriali coordinate a Bruxelles, come già fu con Mario Draghi a livello finanziario. Wait and see.

https://www.whitehouse.gov/briefing-room/statements-releases/2022/02/24/the-biden-harris-plan-to-revitalize-american-manufacturing-and-secure-critical-supply-chains-in-2022/

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Di Gianfranco Pascazio
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