Corte Penale Internazionale e Guantanamo, due test per Biden
Voci dall'America

Corte Penale Internazionale e Guantanamo, due test per Biden

Il Presidente Biden ha ripetutamente affermato, da quando è entrato in carica, che "America is back".  Ma dovremo aspettare le occasioni concrete che permettano di capire cosa intenda Biden. Occasioni che non mancheranno certo, perché la politica estera americana, che da ormai un secolo si regge sui principi risalenti a W. Wilson, ha vissuto alcuni anni di confusione culminati nel mandato di D. Trump.

Negli ultimi venti anni gli Stati Uniti, leader di fatto di un mondo globalizzato, guida del mondo occidentale e campioni della libertà, sono stati protagonisti di alcune gravi violazioni delle regole proprie della comunità internazionale. Il rifiuto di partecipare al Tribunale Penale Internazionale, e la legislazione speciale anti terrorismo, da soli impediscono di dire che l'ordinamento americano corrisponde integralmente ad uno stato di diritto, nel consesso delle nazioni

Sulla corte de L'Aja, il 11 giugno 2020 l'amministrazione Trump con l'adozione del "Executive Order on Blocking Property of Certain Persons Associated with the International Criminal Court", ha ribaltato i termini della questione, secondo lo stile ormai noto dell'ex Presidente, mettendo sul banco degli imputati la stessa corte. Di fatto gli USA si sono arrogati il diritto di processare i funzionari della corte e semplici cittadini che siano stati coinvolti nelle attività della Corte per le indagini che riguardano personale americano, e di creare delle blacklist che ne limitino i movimenti. Gli Stati Uniti con quell'atto hanno trasformato il loro ruolo, passando da sostenitori della giustizia penale internazionale (da Norimberga al Tribunale per l’ex Jugoslavia) ad avversari della rule of law. La nuova amministrazione statunitense, il 21 gennaio 2021, ha annunciato di voler rivedere l'insieme della relazione con la corte. Secondo  il portavoce del Dipartimento di Stato, gli USA intendono "aiutare la corte a realizzare meglio la sua missione principale di punire e scoraggiare i crimini atroci" e potranno cooperare con la Corte in "casi eccezionali". Un'apertura ancora timida e minimale, oltre che priva di contenuto pratico di immediata applicazione.

La legislazione speciale antiterrorismo è un articolato corpo di leggi, che consta ormai di almeno 35 leggi primarie, e innumerevoli secondarie. La più nota è il "Patriot act", approvato sotto la pressione psicologica dell'assalto alle Torri Gemelle e mai revocato. Questo sistema normativo eccezionale, presenta però aspetti che urtano contro il diritto internazionale, e che sono ben riassunti dal caso del campo di detenzione di Guantanamo.

Quella di Guantanamo è una situazione difficile da comprendere nel suo insieme per la pubblica opinione, per la scarsa trasparenza da parte dell'amministrazione USA e anche per le gravi limitazioni che sono tuttora frapposte agli organi di informazione, che hanno scarse possibilità di indagine e sono costantemente boicottate dalle autorità militari. Un segnale debole rivelatore di questo atteggiamento, è stato fornito l'estate scorsa da Carol Rosenberg, una giornalista che segue dall'inizio la vicenda di Guantanamo: mentre alla base per i visitatori, parenti, legali , rappresentanti dell'accusa, sono state costruite delle palazzine dotate di qualche confort, per i giornalisti c'è solo un campo di tende, invivibile nel clima tropicale cubano. Alle osservazioni dei reporter sul trattamento loro riservato, i militari rispondono: "se non volete questi problemi, basta che non veniate a Guantanamo".  Non solo il Pentagono dimostra di non gradire alcuna interferenza da parte della stampa, ma controlla l'attività dei giornalisti come se fossero sul fronte bellico, con un approccio da stato di polizia che stride con la realtà di una base statunitense a 90 miglia da Miami.

La struttura penitenziaria, che sarebbe più giusto definire un campo di concentramento, è stata aperta nel 2002 per ricevere le  extraordinary rendition autorizzate dall'allora Presidente G. W. Bush. Inizialmente ci furono 20 prigionieri, poi nei vent'anni successivi 800 detenuti sono poi passati dal campo, e ne restano oggi 40, di cui solo 12 accusati di crimini di guerra.

Ai prigionieri detenuti in quel campo non viene applicato il diritto di guerra né la Convenzione di Ginevra, né il diritto militare di guerra americano, ma solo la legislazione speciale. Il 29/6/2006 la Corte Suprema, giudicando sul ricorso di Salim Ahmed Hamdan (Hamdan vs Rumsfeld No. 05–184), cittadino yemenita, detenuto a Guantanamo, ha stabilito il principio che nel processare i terroristi come Hamdan, l'Esecutivo fosse tenuto a rispettare tutte le regole dello Stato di diritto. Conclusione apparentemente ovvia e scontata, ma non nel clima della guerra terrorismo che infuriava a Washington nel primo decennio del secolo, generando la legislazione eccezionale, spesso senza approvazione del Congresso, che ha giustificato le detenzioni di Guantanamo e che ancora oggi regola la sorte dei prigionieri di quel campo.

Nel caso citato, Hamdam venne accusato di essere parte dell'esercito di Osama Bin Laden, di cui fu autista e guardia del corpo, ma di nessun atto criminale specifico. La base legale per la sua detenzione stava nell'ordine esecutivo firmato dal Presidente Bushil “Detention, Treatment, and Trial of Certain Non-Citizens in the War Against Terrorism”, del 13 novembre 2001, e nelle successive “Procedures for status review of detainees outside the United States” emanate dal Pentagono, e successivamente aggiornate sino al 2018.

Hamam era stato ritenuto  idoneo al processo dalla Commissione Militare con l'accusa di cospirazione "per commettere ... reati rintracciabili dalla commissione militare". La richiesta di habeas corpus presentata dai suoi legali venne accolta nel 2004 dal tribunale distrettuale, ma dopo il ricorso dello stato,  la sentenza della Corte d'Appello del Circuito del Distretto di Columbia nel 2005, ribaltò la decisione. La Corte Suprema concluse che la commissione militare convocata per processare Hamdan non aveva il potere di procedere, in sintesi perché la sua struttura e le sue procedure violano sia il "Uniform Code of Military Justice", che le Convenzioni di Ginevra, e rimandò il caso al giudice competente. Che condannò comunque Hamdam per il solo reato di "sostegno materiale" al terrorismo. In appello, l'allora giudice federale, Brett Kavanaugh, poi nominato da Trump alla Corte Suprema, annullò nel 2012 la condanna perché il crimine di "sostegno materiale" non rientrava fra i crimini di guerra quando Hamdan all'epoca dei fatti contestati all'imputato. Dopo 11 anni di detenzione a Guantanamo senza processo, Hamdam è stato liberato ed è tornato a vivere nello Yemen.

Il 21 gennaio 2009 il presidente Obama firmò un ordine esecutivo per chiudere Guantanamo, ma per eseguire l'ordine era necessario uno stanziamento di bilancio, che venne negato con voto quasi unanime dal Senato (80/6), e il problema è rimasto da allora seppellito nella memoria del Congresso. Nel gennaio 2017, quando si apprestava a lasciare il posto a D. Tump, Obama ha pesantemente attaccato il congresso a maggioranza repubblicana: "Non ci sono giustificazioni, al di là della politica, dietro l’insistenza del Congresso a mantenere il supercarcere aperto..... le regole imposte dal congresso che impediscono il trasferimento dei detenuti negli Usa non hanno senso. Nessuno è mai scappato da uno dei nostri carceri di massima sicurezza o dai carceri militari.....il  Congresso ha messo la politica sopra a tutto: ai costi sostenuti dei contribuenti, ai rapporti con gli alleati, e ai rischi alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti».

In sostanza gli argomenti sostenuti dalle tre amministrazioni americane succedutesi dal 2001, sono:

  • le Convenzioni di Ginevra non si applicano a una guerra contro il terrorismo: in realtà si applicano a "tutti i casi di guerra dichiarata o di qualsiasi altro conflitto armato che possa sorgere tra due o più delle Alte Parti contraenti". Sia gli Stati Uniti che l'Afghanistan sono fra le Alte Parti contraenti delle Convenzioni di Ginevra.
  • non è necessario identificare il tribunale competente perché, non vi è alcun "dubbio" che i detenuti non soddisfino i requisiti dell'articolo 4A per lo status di prigioniero di guerra. Posto che i  requisiti per lo status di prigioniero di guerra sono (articolo 4A - TerzaConvenzione Ginevra), dipendere da un comando responsabile, portare armi apertamente, indossare uniformi con insegne distintive del reparto/arma, condurre le operazioni in conformità con le leggi e le consuetudini di guerra. Tuttavia non sono necessari questi requisiti per i "membri delle forze armate di una Parte in conflitto, nonché per i membri delle milizie che fanno parte di tali forze armate", che sono automaticamente coperti dalle regole della Convenzione. L'applicazione di questa clausola è controversa, a causa delle forme anomale di inquadramento delle milizie nelle forze afghane; ad esempio anche i membri delle forze armate dei talebani non dovrebbero avere diritto allo status di prigioniero di guerra perché i talebani non erano riconosciuti come il governo legittimo dell'Afghanistan. L'articolo 4A della Terza Convenzione di Ginevra, dice che il riconoscimento di un governo è irrilevante per la determinazione dello status di prigioniero di guerra. Pertanto, indipendentemente dal fatto che un governo sia riconosciuto o meno, i membri delle sue forze armate hanno diritto allo status di prigioniero di guerra senza la necessità di soddisfare le quattro condizioni di cui sopra;
  • trattare i detenuti come prigionieri di guerra costringerebbe gli Stati Uniti a rimpatriarli alla fine del conflitto piuttosto che perseguirli per il loro presunto coinvolgimento in crimini terroristici contro gli americani; lo status di prigioniero di guerra, infatti,  fornisce protezione solo per l'atto di imbracciare le armi contro le forze militari opposte. Se questo è tutto ciò che un prigioniero di guerra ha fatto, allora sarebbe obbligatorio il rimpatrio alla fine del conflitto.

Bisogna dire con chiarezza che, alla luce di quanto sopra e delle stesse sentenze della Corte Suprema, l'esistenza di Guantanamo è palesemente contraria ai valori americani, e nemmeno la motivazione della sicurezza nazionale, peraltro ormai in larga parte venuta meno, può esonerare tutti i governi dalla responsabilità, nei confronti degli americani e di tutto il mondo, per la persistenza  del campo cubano.

L'approccio dell'amministrazione Biden al caso di Guantanamo appare decisivo per capire quale sia in concreto l'America di cui si proclama oggi il ritorno.

https://www.legislationline.org/legislation/section/legislation/country/54/topic/5

https://www.nytimes.com/2012/10/17/us/politics/dispute-over-clothing-dominates-guantanamo-hearing.html

https://www.supremecourt.gov/opinions/05pdf/05-184.pdf

https://pulitzercenter.org/blog/carol-rosenberg-and-david-cole-discuss-detainees-civil-liberties-and-covid-19-guantanamo

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