La "Bidenomics" metterà in soffitta Reagan e il liberismo ?
Voci dall'America

La "Bidenomics" metterà in soffitta Reagan e il liberismo ?

L'azione politica dell'amministrazione Biden si sta realizzando su diversi piani, dalla politica estera alla politica interna, con due fili conduttori: da un lato il rafforzamento delle prerogative del governo federale per favorire il riequilibrio civile e politico di una società americana sempre più diseguale, d'altro canto la realizzazione di una politica economica che riesca ad essere inclusiva tanto verso i settori più penalizzati della società americana, che verso gli alleati. Michael Hirsh, corrispondente senior e vice capo redattore di Foreign Policy ha esaminato il secondo di questi elementi, conducendo analizzando le opinioni degli economisti sulla politica di Biden. Pur nel dibattito fra studiosi, il termine di "bidenomics" per definire l'insieme della politica economica di Joe Biden, appare beneaugurante.

"Solo un anno fa, Joe Biden era visto come un simpatico anziano membro dell'establishment, la cui principale motivazione per arrivare alla presidenza degli Stati Uniti era il fatto di non essere Donald Trump. Lo stesso Biden aveva suggerito la possibilità di essere un "presidente di transizione" piuttosto che di cambiamento, con un messaggio del tipo: eleggimi, sbarazzati dell'odiato Trump e poi scopriremo come sistemare il nostro paese. O forse lo farà il mio successore.

Ma questo non è affatto il Biden che si è presentato quest'anno. Nel discorso del 27 maggio al Cuyahoga Community College di Cleveland in cui ha delineato la sua proposta di budget da 6.000 miliardi di dollari, Biden ha parlato di "creare un nuovo paradigma": far risorgere la classe media d'America con una combinazione di importanti proposte di istruzione, assistenza sanitaria e fiscali e un nuovo impulso di politica industriale e nazionalismo economico che, alla fine, spingano gli Stati Uniti oltre la Cina e altri concorrenti in ascesa.

Se è in grado di portare a termine questo piano, per nulla scontato, il presidente getterà nella cenere della storia la dottrina dominante degli ultimi 40 anni: Reaganomics, o “trickle-down economics” (economia a cascata), come la chiama Biden. Lungi dal limitarsi a occupare una casella nella storia presidenziale degli Stati Uniti, Biden sta puntando in alto, come rivelato dal nome che ha dato al suo programma: il "new bargain", che fa eco consapevolmente al "new Deal" di Franklin D. Roosevelt. O forse dovremmo chiamarlo Bidenomics.

La verità è che Biden ha sempre avuto grandi progetti. Secondo i resoconti di alcuni dei suoi più stretti consiglieri, il nuovo presidente è stato a lungo un populista represso che ha trascorso i suoi otto anni come vicepresidente, oltre a 30 anni di corse per la Casa Bianca, spingendo duramente per un'importante espansione delle competenze del governo a sostegno alla classe media sofferente d'America.

Un collaboratore di lunga data di Biden, l'economista Jared Bernstein, conferma che nulla di tutto questo è nuovo per il settantottenne presidente: Biden da tempo pensa che la leadership globale degli Stati Uniti dipende interamente dalla loro leadership economica. Crede anche che il vantaggio costruito dopo il 1945 sia stato perso in decenni di ossessiva riduzione del deficit e progressiva paralisi dell'azione di governo, portando a un rapido declino degli investimenti pubblici e a una classe media sempre meno istruita, alla disperata ricerca di servizi: alloggi a prezzi accessibili, trasporti pubblici dignitosi e cure adeguate per bambini e anziani.

Ciò significa correggere le disuguaglianze che si sono inasprite dall'era Reagan e avviare una vera politica industriale nazionale per la prima volta da decenni. Nella convinzione che gli Stati Uniti abbiano bisogno di un contratto sociale nuovo e diverso, Biden crede che il settore privato, da solo, non risolverà i maggiori problemi che si trova a fronteggiare: disuguaglianze estreme e disparità sociali, crisi climatica, contrazione della forza lavoro, restringimento del vantaggio tecnologico americano.

Queste convinzioni del presidente risalgono all'apertura della Cina negli anni '80 e alla caduta del muro di Berlino, che ha spinto milioni di nuovi lavoratori a basso salario nel mercato globale. All'epoca semplicemente temeva che questo avrebbe messo il mondo del lavoro degli Stati Uniti in difficoltà anche per gli scarsi investimenti nella riqualificazione e nell'aggiornamento delle forze produttrici americane, mentre cresceva il divario fra gli andamenti di produttività e PIL da una parte, e redditi della classe media dall'altra.

Non solo, ma la classe media ha sopportato un maggiore onere fiscale da Reagan ad oggi: la percentuale del reddito federale complessivo proveniente dalla tassazione del lavoro dipendente è passata dal 50% nel 1950 a oltre l'80% di oggi, e allo stesso tempo le tasse sulle società sono scese dal 30% del PIL a meno del 10% di oggi. L'America è sembrata molto più ricca, ma i settori medio bassi della società sono invece molto più poveri. nello stesso periodo la ricerca e lo sviluppo pubblici sono scesi dal 2% negli anni '60 allo 0,7% di oggi, rendendo gli Stati Uniti una delle poche nazioni avanzate in cui gli investimenti pubblici sono diminuiti nell'ultimo quarto di secolo.

La proposta di Biden parte dall'imposta globale sul reddito delle società, e nel suo primo discorso al Congresso il 28 aprile, ha evocato un piano da 2.000 miliardi di dollari in cento giorni e ha descritto il suo schema di spesa per le infrastrutture come "il più grande piano per il lavoro dalla seconda guerra mondiale”. Biden vuole investire il doppio di quanto gli Stati Uniti hanno speso per vincere la seconda guerra mondiale, con nuove spese per ricerca e sviluppo oltre che in infrastrutture e servizi destinati agli americani a basso reddito. Ciò include massicci sussidi per college comunitari gratuiti, assistenza sanitaria e per l'infanzia, nonché ulteriori programmi di finanziamento federale per le scuole diretti in particolare agli studenti meno avvantaggiati.

Gli ambiziosi piani di Biden per riorientare l'economia degli Stati Uniti lontano dai miliardari e di nuovo vicino alla classe media, potrebbero anche spostare l'asse ideologico a livello globale. Per decenni, il resto del pianeta ha dovuto ascoltare le retorica dei leader del mondo libero sulle virtù di mercati auto regolamentati, e assistere alla delimitazione dell'azione del governo. La linea di Washington è stata per anni semplice e univoca: privatizzazione, libero scambio e disciplina di mercato porteranno a un mondo più prospero e globalizzato. La linea dell'America era così netta che ha assunto persino una denominazione vagamente soffocante: il Washington Consensus.

Da senatore e poi vicepresidente, Biden per lo più si è schierato - spesso con riluttanza, dicono i suoi aiutanti - con i sostenitori del Washington Consensus, i democratici centristi che si sono comportati quasi come i neo-reaganiani nel loro disgusto verso il governo, e, sulla scia della vittoria americana della guerra fredda, tendevano a confondere azione di governo ed economia pianificata. Gli ultimi due presidenti democratici, Bill Clinton e Barack Obama, si sono piegati all'idea diffusa di un governo meno invasivo, tasse più basse sui profitti aziendali e budget governativi più ristretti.

Ora altre nazioni stanno guardando con interesse a come la modesta formichina di Scranton, Pennsylvania - come gli piace ritrarsi - butta alle ortiche il passato in favore di un nuovo tipo di semi protezionismo con piani di spesa così ambiziosi che hanno messo a tacere anche i progressisti del suo stesso partito. In pochi mesi il Partito Democratico ha imparato nuovamente a non preoccuparsi di un governo forte, e ad apprezzarlo, approvando con entusiasmo il nuovo bilancio di Biden.

E questo è solo l'inizio: il nuovo presidente sta anche abbracciando un nuovo nazionalismo economico mai più visto dai giorni più cupi della Guerra Fredda, solo che questa volta, l'uomo nero è la Cina e non più l'Unione Sovietica. Che il problema sia il COVID-19 o il cambiamento climatico, gli Stati Uniti "vinceranno nel 21° secolo la competizione globale con la Cina", come ha affermato Biden nel suo primo discorso al Congresso. Nel suo discorso sul budget di maggio 2021, Biden ha poi approfondito questo concetto, affermando che il ruolo di leadership globale dell'America dipende interamente dalla ripresa economica del paese. E questo a sua volta dipende dai maggiori investimenti del governo in ogni tipo di infrastruttura per creare nuovo lavoro e generare la possibilità di nuovi servizi . Per Biden è un ritorno al passato: “Come quando abbiamo portato l'elettricità in ogni casa del paese negli anni '30 o abbiamo collegato il paese attraverso l'Interstate Highway System negli anni '50. Sapete qual è la base del nostro ruolo nella in politica estera ? Una sola cosa: la nostra capacità economica, quindi dobbiamo essere il numero 1 al mondo per guidare il mondo nel 21° secolo. È una proposta semplice". Finora sembra che la Bidenomics possa funzionare: all'inizio di giugno, la Banca Mondiale ha quasi raddoppiato le sue proiezioni di gennaio sulla crescita del PIL degli Stati Uniti dal 3,5% al ​​6,8%, il tasso più alto dal 1984.

Ad essere preoccupati per la svolta di Biden, sono i sostenitori dell'economia globale: i toni protezionistici che Biden a volte assume tendono a minare il credo economico dominante, e ne mettono in dubbio la continuità. Forse il punto da chiarire è: se gli Stati Uniti non si battono per la globalizzazione e l'apertura dei mercati, chi lo farà? A molti paesi non è mai piaciuto l'eccesso di libero scambio, prima fra tutte la Cina, che preferisce i mercati regolati dall'alto, e teme ora la trasformazione del mondo in un campo di battaglia (Global Times). E ci sono indicazioni che l'Unione Europea si stia preparando a rispondere al piano "Buy American" di Biden con una risposta "Buy European", anche per il rischio che Biden mantenga in vigore i dazi messi da Trump su acciaio e alluminio, operazione popolare tra i sindacati dei lavoratori siderurgici, sul cui sostegno Biden conta per il futuro.

In definitiva, la Bidenomics potrebbe preparare il terreno, come negli anni trenta la legge Smoot-Hawley con la grande depressione, affinché il fervore protezionistico si diffonda in tutto il mondo. I critici hanno sminuito l'approccio di Biden definendola "Trumpismo senza Trump". Certamente il nazionalismo e la retorica anti-cinese suonano familiari e sono altrettanto pericolosi per la prosperità globale, ma c'è anche un altro punto di vista. "Una forte economia statunitense non dovrebbe essere una minaccia per la Cina, così come la crescita economica cinese non é stata dannosa per l'America", ha affermato Dani Rodrik, un economista di Harvard, presidente dell'International Economic Association, a lungo scettico sulla globalizzazione. “L'impostazione di Biden è pericolosa in quanto trasforma una buona economia domestica in uno strumento di politica estera aggressiva e a somma zero diretta alla Cina. Possiamo incolpare la Cina se inasprisce le restrizioni sulle società statunitensi come misura difensiva contro il piano Biden?"

L'amministrazione Biden rifiuta l'etichetta protezionista, e sottolineando le differenza rispetto alle recenti amministrazioni invita a distinguere: "non tutto il commercio è un buon commercio", in particolare di fronte a sussidi statali di un sistema economico centralizzato, come la Cina. Non è protezionismo creare un sistema commerciale globale, in cui si competa in base alla capacità di attrarre e sviluppare i migliori talenti, commercializzare le migliori idee creare e innovare a beneficio della propria nazione e del mondo.

David Autor, economista del Massachusetts Institute of Technology, ha affermato che Biden potrebbe evitare i peggiori errori protezionistici del suo predecessore: "L'amministrazione Trump voleva competere con la Cina non investendo negli Stati Uniti ma tassando i cinesi. Questa è una falsa economia". Piuttosto che nuove tariffe, a Biden piace parlare dei maggiori investimenti del governo, "Nel corso della nostra storia gli investimenti pubblici e le infrastrutture hanno letteralmente trasformato l'America", ha detto Biden portando ad esempio la Defense Advanced Research Projects Agency, che ha portato alla scoperta di Internet e del GPS.

Secondo Rodrik Biden ha lanciato una trasformazione economica audace ma è giusto chiedersi quanto vi sia di veramente nuovo: per molti versi, c'è un vago odore di muffa, come se il presidente più anziano d'America stesse rovistando in un armadio pieno di naftalina ideologica degli anni '70. In parte, le idee che ha presentato sono le vecchie risposte dei Democratici agli eccessi del fervore del libero mercato. Potremmo, in altre parole, tornare a una qualche versione dei temuti anni '70, senza l'inflazione galoppante (sebbene sembri aumentare) e i capelli lunghi. Allora, il problema era la "stagflazione". Ora, è  la "stagnazione secolare". In entrambi i casi, manca la crescita.

La più grande differenza con quel periodo è che la Cina ha sostituito l'Unione Sovietica come obbiettivo della rincorsa dell'economia americana. Se il passato si ripete, allora forse si sta stabilizzando un equilibrio che si potrebbe chiamare il "nuovo-vecchio ordine mondiale",  in cui torna l'idea, già messa in dubbio da molti studiosi di economia e geopolitica, che le nazioni competono tra loro per i mercati esattamente come fanno le aziende. Sdoganando l'idea della competizione nazionale, Biden cerca in realtà di ripristinare la necessità di un governo forte.  Indipendentemente dal fatto che i grandi piani del presidente siano davvero nuovi o validi dal punto di vista economico e geopolitico, Biden già da vice-presidente avrebbe voluto reindirizzare completamente l'economia degli Stati Uniti, e la disastrosa presidenza Trump e la pandemia di COVID-19 ne hanno fornito la giustificazione.

Siamo a un punto di svolta nella storia americana. Succede ogni diverse generazioni", ha detto Biden nel suo discorso al Cuyahoga Community College, ripetendo temi che ha già sostenuto negli ultimi mesi.
L'abbraccio di Biden all'intervento del governo è entrato nel vivo quando la Grande Recessione ha messo in luce le  disuguaglianze nella società statunitense, ha detto Austan Goolsbee, già direttore del Council of Economic Advisers sotto Obama, e consulente di Biden. Fino al crollo del 2009, la drammatica realtà del reddito stagnante della classe media era stata oscurata dalla falsa euforia dei mutui, così che i poveri si sentivano ricchi ma in realtà erano solo più indebitati. Quando tutto questo finì bruscamente, Biden vide che gli Stati Uniti erano usciti dall'altra parte della Grande Recessione in un'economia del tutto diversa, con la maggior parte della ricchezza recuperata che fluiva verso gli americani più ricchi mentre la gente comune annegava nel debito ipotecario.

Così è stato Biden, ha detto Goolsbee, che nel 2009 ha spinto per una grande mobilitazione sociale dietro nuovi programmi infrastrutturali come una rete energetica intelligente e che ha sostenuto un salvataggio totale delle tre grandi case automobilistiche - General Motors, Ford e Chrysler - perché ha era preoccupato per i lavoratori e le piccole imprese che sarebbero andate a gambe all'aria.

Biden e altri democratici si sono anche resi conto che  nell'ultimo quarto di secolo la classe media statunitense è stata esposta alla concorrenza dei lavoratori cinesi a basso salario sovvenzionato dallo stato. Allo stesso tempo, i repubblicani hanno confermato la loro identità di partito del governo debole, fatta propria dal populismo di Trump, che ancora domina il GOP dal suo ritiro a Mar-a-Lago. Il colpo di grazia all'ideologia del governo delimitato è arrivato finalmente un anno fa con la pandemia di COVID-19, che ha bloccato la crescita dell'economia privata. Questo ha reso necessario l'intervento del governo e a un nuovo modo di pensare, su cui punta Biden, che però ha un margine minimo al Senato, e forse non molto tempo, se i repubblicani - che deridono i suoi piani di spesa come socialismo dilagante - si riprenderanno almeno una delle due Camere del Congresso nelle elezioni di medio termine del 2022.

Per molti repubblicani, il ritorno all'era pre-Reagan degli anni '70 fa scattare le peggiori paure, realizzando il "socialismo", contro cui avevano tuonato durante la campagna del 2020. L'opposizione repubblicana è un fattore cruciale nell'ambiziosa corsa alla spesa di Biden, che ha imparato che il momento utile per il cambiamento potrebbe essere breve, come è successo a Obama nel 2010. Oggi Biden ha i voti per approvare i suoi grandi progetti di legge, ma è appeso ad un Senato diviso 50-50, con il voto decisivo della vicepresidente Harris. Ma i repubblicani hanno vantaggi regolamentari sia alla Camera dei Rappresentanti che al Senato, e inoltre il partito di opposizione controlla molti stati in cui vengono approvate leggi sul voto destinate a ribaltare i risultati elettorali sino dal 2022, come richiesto da Trump sulla base della favola del voto rubato.

E se Trump domina ancora il partito, allora anche è destinata a tornare anche la sua visione neonazionalista del mondo. Se c'è un nuovo consenso in una Washington polarizzata, è che quasi tutti su entrambi i fronti sembrano preda di un rapporto di "amore odio" nei confronti della Cina. Nei primi anni di Trump si biasimava la delocalizzazione come frutto delle politiche economiche e commerciali predatorie della Cina. Oggi Biden segue quasi la stessa retorica, e ha così ottenuto l'approvazione del Senato (8 giugno) a stragrande maggioranza del "Innovation and Competition Act". Democratici e repubblicani hanno stanziato insieme quasi 250 miliardi di dollari per rilanciare la produzione negli Stati Uniti di tecnologia avanzata, dall'intelligenza artificiale ai chip per computer alle batterie al litio. Anche in questo caso, l'approccio di Biden è un netto allontanamento dai suoi predecessori democratici, specialmente quando si tratta di riformulare il ruolo della Cina come spauracchio numero uno d'America.

"Il piano Biden ha il potenziale per essere trasformativo per gli Stati Uniti e costituire un esempio importante da seguire per altre nazioni", ha affermato Rodrik di Harvard. “Ma per raggiungere il suo potenziale, deve evitare i vecchi stereotipi della Guerra Fredda e le dicotomie fuorvianti tra Stato e mercato. I problemi di oggi - il cambiamento climatico, l'interruzione dei mercati del lavoro a causa delle nuove tecnologie e l'iperglobalizzazione - richiedono nuove soluzioni".

La maggior parte degli economisti concorda ancora sul fatto che il commercio non è un gioco a somma zero - tutti generalmente beneficiano del libero scambio - ma questa saggezza consolidata può essere spazzata via dal nuovo vento del nazionalismo economico. "C'è stato un serio riallineamento nel pensare alla Cina come una minaccia competitiva e all'importanza di ripristinare i posti di lavoro della classe media per i lavoratori meno qualificati". Più schiettamente di qualsiasi altro presidente dai tempi di Lyndon B. Johnson, Biden è intenzionato a far crescere la classe media a spese dell'1% più ricco, definendo il suo American Jobs Plan un "progetto dal basso per costruire l'America" ​​e osservando che quasi il 90% dei i lavori creati dai progetti infrastrutturali proposti non richiedono una laurea.

Nonostante le preoccupazioni dei repubblicani sul fatto che i generosi piani di sussidio di Biden per l'assistenza all'infanzia incentivino solo i caregiver familiari a rimanere a casa piuttosto che a lavorare, rifacendosi alla famigerata critica di Reagan, alcuni esperti affermano che in effetti si stanno correggendo disuguaglianze economiche di vecchia data: "gli assegni familiari in denaro sono tra le politiche anti-povertà più efficaci nella cassetta degli attrezzi di qualsiasi governo moderno, producendo benefici sociali molte volte oltre i loro costi", ha affermato Samuel Hammond del Niskanen Center, di orientamento libertario.

Autor, Rodrik e altri economisti plaudono ai piani ambiziosi (e costosi) di Biden di reinvestire nel capitale umano degli Stati Uniti fornendo assistenza all'infanzia a basso reddito; per finanziare l'istruzione dalla scuola materna fino alla scuola del 12° grado e oltre, oltre a fornire una migliore formazione professionale attraverso i college; modernizzare le infrastrutture degli Stati Uniti; tutto per ripristinare la leadership degli Stati Uniti nella ricerca e sviluppo e nell'innovazione.

La domanda è, però, il paese è pronto per la Bidenomics?

Alcuni economisti temono quello che Rodrik chiama "l'eccessivo raggio d'azione" di Biden, provocando l'ennesima oscillazione del pendolo "tra ottimismo e il pessimismo sul ruolo del governo nell'economia". Le oscillazioni del pendolo nell'equilibrio tra mercati e governo non sono state utili in passato. Ogni oscillazione eccessiva in una direzione ha provocato un'altra correzione estrema lungo la linea." L'unico modo in cui Biden può rompere questo ciclo è dimostrare che i mercati e i governi sono complementari, non sostitutivi, e che ciascuno funziona meglio quando l'altro fa il suo dovere. Ciò significa che il governo dovrà collaborare con i mercati e le imprese private, nonché con altre parti interessate come sindacati e gruppi comunitari.

Altri economisti, tuttavia, accolgono con favore l'ambizione di Biden. È passato almeno un decennio da quando la globalizzazione è precipitata nella Grande Recessione. Improvvisamente, tutte quelle nette interconnessioni globali che avrebbero dovuto rendere tutti più ricchi hanno fatto crollare l'economia globale, rendendo i ricchi più ricchi e i poveri più poveri. E mentre il fumo si diradava emersero Trump, Boris Johnson, Narendra Modi, Jair Bolsonaro, Viktor Orban e altri nazionalisti che predicavano, ciascuno a modo suo, un nuovo tipo di illiberalismo. In quel periodo fra gli economisti si sono cercati nuovi modi per mettere in discussione piuttosto che promuovere la globalizzazione mentre non c'era un nuovo consenso su come riconquistare una prosperità su vasta scala, per ripristinare il leggendario "sogno americano" di opportunità per tutti. Il consenso ora sembra più lontano che mai.

Biden sta cercando di convincere il resto del mondo sviluppato, in particolare l'Europa, ad accettare una tassa minima globale sui profitti aziendali. Limitare i paradisi fiscali aziendali all'estero, spera Biden, lo aiuterà ad aumentare l'aliquota fiscale per le società in patria. Tuttavia, mentre Biden potrebbe essere in grado di portare a termine molti dei suoi piani di spesa, potrebbe invece non riuscire a cambiare il problema di fondo: una fiscalità che favorisce i ricchi. Il più grande pericolo politico, dicono alcuni economisti, è che Biden alla fine non farà altro che provocare l'opposizione di destra, specialmente se il debito pubblico e l'inflazione andranno fuori controllo (come accadde negli anni '70, preparando il terreno per la Reaganomics), creando un contraccolpo a medio termine del 2022."

Il dibattito fra economisti è decisamente acceso, quasi quanto quello fra le forze politiche, tuttavia sembra emergere un dato: qualunque sia la durata della presidenza Biden e delle sue idee, il ciclo del rafforzamento del potere dell'esecutivo federale difficilmente potrà essere arrestato.

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