Diario della settimana
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Diario della settimana

Il Presidente uscente, dopo una settimana trascorsa nella sua fortezza privata fra i verdi fairways di Mar-a-Lago, è tornato a Washington per coordinare i nuovi, disperati, attacchi per impedire l’elezione di J. Biden. Sul fronte legislativo, Trump ha dapprima attaccato coloro che aveva messo in prima linea per difendere la sua strategia complottista, il GOP e la Corte Suprema, che hanno negato il loro sostegno alla farneticante teoria del voto rubato. Poi ha ricattato politicamente il GOP, mettendo il veto al bilancio della difesa, e ritardando sino all’ultimo giorno utile la firma della legge sugli aiuti economici post Covid. Trump ha anche sollecitato i suoi sostenitori a protestare a Washington il 6 gennaio, in occasione della riunione del Congresso per la ratifica formale del risultato elettorale, e non ha trascurato di dichiarare illegittime le elezioni senatoriali previste per il 5 gennaio in Georgia, riprendendo argomenti già dichiarati infondati dalla Corte Suprema (The Hill).

La drammatica decisione del Senato, ancora controllato dal GOP, di respingere il veto presidenziale nella inedita sessione di Capodanno, con un voto 80-12, ha sancito il divorzio fra l’odierno inquilino della Casa Bianca e l'attuale Partito Repubblicano. La seduta congiunta del Congresso per l’elezione di Biden, finirà così col diventare solo un nuovo capitolo di questa spaccatura del fronte conservatore. Da un lato i fedelissimi di Trump, circa venti senatori e quaranta rappresentanti, dall’altra i leader del partito e la maggioranza delle strutture statali, schierati sin dalle prime polemiche elettorali a sostegno di una linea di istituzionale opposizione al nuovo Presidente.

Trump ha sperato di poter vincere la resistenza dei parlamentari repubblicani, anche perché un sondaggio Gallup indica che per il 87% degli elettori repubblicani il candidato del GOP nel 2024 dovrà essere ancora il tycoon sconfitto a novembre da Biden (CNN 27/12/2020). Resta da vedere se di qui al 2024 i Repubblicani riusciranno a superare le profonde divisioni interne che sono maturate nelle ultime settimane.

Nel post “6 gennaio occhi su Washington”, viene analizzata la normativa costituzionale che verrà applicata in occasione della riunione del Congresso, che sembra concedere a Trump solo minime speranze di successo. I danni di una strategia estremista sono potenzialmente enormi, per il GOP e per la democrazia americana.

Su un altro fronte, Trump non ha abbandonato il tentativo di contestare per via giudiziaria il voto popolare, con la presentazione alla Corte Suprema di due nuove richieste di annullare il voto nei cinque stati più contestati. I legali di Trump cercano di inserire un cuneo di nuove argomentazioni nella piccolissima crepa apertasi dopo la sentenza del 18 dicembre scorso sul ricorso elettorale del Texas (vedi post del 27/12/2020). Benché i nove giudici supremi abbiano già fatto muro, mostrando di non voler fare della Corte l'arbitro della contesa elettorale, una parte dell’opinione espressa del giudice S. Alito potrebbe consentire di aprire un varco, in materia di competenza della corte a giudicare le leggi elettorali degli stati. Si tratta evidentemente di una ipotesi estrema, basata su un cavillo legale discutibile, che si potrebbe realizzare solo a prezzo del sovvertimento della democrazia americana.

Di sovversione si è parlato apertamente nella settimana trascorsa, con una singolare inversione di tendenza: Fox News, portavoce del mondo conservatore e a lungo fiancheggiatrice di Trump, ha riportato con aperta preoccupazione le notizie sui progetti autoritari discussi alla Casa Bianca. Un altro organo di stampa schierato apertamente per Trump dal 2016, il New York Post di Rupert Murdoch, ha abbandonato con gran fracasso le fila dei sostenitori presidenziali, titolando in prima pagina “Basta follie, Signor Presidente"

Paradossalmente il giornale liberal “Politico” pur senza minimizzare la portata della questione, ha sostenuto che l’eventuale iniziativa autoritaria di Trump non rappresenterebbe una sedizione. La questione viene analizzata da un punto di vista costituzionale nel post “Attenti a quei due”.

Si è diffusa l’aspettativa per una nuova serie di perdoni presidenziali, destinati a proteggere i collaboratori più stretti di Trump, in particolare Jared Kushner, genero del Presidente uscente. Il Wall Street Journal ha rivelato che l’azienda di famiglia, Kushner Companies, ha aperto in Israele la sottoscrizione di un prestito obbligazionario da 100 milioni di dollari. Come riferisce il non esattamente socialista quotidiano finanziario, l’operazione solleva dubbi sull'indipendenza di un consulente presidenziale che è ripetutamente volato in Israele per sponsorizzare accordi e negoziati anche meritevoli di elogio, ma in evidente conflitto fra interessi pubblici dall'amministrazione Trump e interesse privato del Sig. Kushner. La notizia è arrivata dopo che il New York Times aveva informato che “Kushner Companies” ha ricevuto un finanziamento di 30 milioni di dollari da un investitore israeliano alla vigilia del viaggio presidenziale in Israele in maggio 2020, cui partecipò Jared Kushner.

Al di là del formale distacco dalle questioni interne alla democrazia americana, le cancellerie europee seguono con la massima attenzione l’evoluzione degli avvenimenti a Washington. Ne sono prova le polemiche seguite alla notizia della conclusione del negoziato per l’accordo commerciale fra Cina e Unione Europea. Pechino sta cercando di mettere a frutto la paralisi dell’amministrazione americana per stabilire un programma di investimenti a lungo termine, arrivando perfino a fare alla controparte europea concessioni sostanziali. Nell’accordo verrebbero inseriti impegni formali, della cui sincerità è lecito dubitare, per una revisione dei diritti dei lavoratori nella Repubblica Popolare, al fine di creare una più equilibrata concorrenza con l’occidente. Nei lunghi negoziati sull’accordo, gli europei hanno insistito anche per la rimozione delle barriere agli investimenti esteri in Cina in alcuni settori chiave, industriali e finanziari. Senza un intervento americano, l’accordo porterebbe la Cina ad avere un accesso facilitato al mercato europeo, e porrebbe le premesse per un successivo accordo di libero scambio. Il futuro consigliere per la sicurezza nazionale di Biden, Jake Sullivan, ha commentato la notizia dicendo che “la nuova amministrazione auspica immediate consultazioni con la UE al fine di decidere un approccio coordinato” di fronte alle pratiche commerciali disinvolte della Cina, in particolare per brevetti, sostegno statale alle imprese e costi del lavoro (Foreign Affairs – Politico, 29/12/2020).

L’attivismo cinese si mantiene frenetico in vista del cambio della guardia alla Casa Bianca, e ad aumentare le preoccupazioni dei responsabili della nuova amministrazione democratica, sono arrivate lo stesso giorno le dichiarazioni del Presidente cinese, Xi Jinping, che ha dichiarato che i legami fra la Cina e la Russia del Presidente Vladimir Putin non possono essere intaccati per intervento di altri stati. Per Xi, Pechino e Mosca dovrebbero lavorare per “resistere contro ogni tentativo di sopprimere questi legami e dividere le due nazioni”. Dopo l’accordo commerciale asiatico disertato da Trump, legami saldi con Europa e Russia metterebbero la Cina in una posizione di inedito vantaggio nella competizione con gli Stati Uniti.

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