Buona Pasqua, con Luciano Canfora e Giuseppe Flavio
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Buona Pasqua, con Luciano Canfora e Giuseppe Flavio

Non è elegante l'uso dell'auto citazione, ma nella ricorrenza di Pasqua la lettura dell'ultimo libro del grande filologo e storico Luciano Canfora - La conversione - rimanda, da un diverso punto di vista, alla visione del rapporto fra Stati Uniti e Europa di Regis Debray, riportata nel terzo capitolo di "Euramerica", incentrato su americanismo e antiamericanismo.

Debray ipotizza tre possibili modelli di relazione fra grandi e piccole potenze, tratti dalla storia antica:, il modello di Erode, opportunista, il modello dello Zelota, ribelle votato alla sconfitta, il modello di Flavio Giuseppe, "vendersi al nemico invasore solo per conservare intatte la propria storia e tradizione consentendone la sopravvivenza in attesa della fine dell’impero".

Il libro del Professor Canfora su Flavio Giuseppe è un impegnativo saggio filologico, di quella speciale filologia applicata ai testi sacri di qualunque religione, che permettono ridurre la distanza che separa il lettore dalla ipotizzata verità del testo, a prezzo di una discussione totalmente priva di ogni carattere dogmatico. Un testo naturalmente ostico, ma appassionante come un libro giallo, che consente di precisare meglio la figura di Giuseppe Flavio, a partire dal corretto riferimento del nome.

Nato a Gerusalemme probabilmente nel 37, sacerdote e discendente di re, Giuseppe figlio di Mattia fece il ciclo completo di formazione rabbinica e fu protagonista della vita politico religiosa che si svolgeva sotto il dominio romani della Palestina. Nel 64 fece parte di un'ambasciata alla corte di Nerone, e poi, quando scoppiò la rivolta contro Roma, assunse il comando militare dei ribelli in Galilea. Sconfitto e fatto prigioniero, si salvò perché una volta presentato a Vespasiano, che comandava le truppe romane, oltre a dimostrare intelligenza e cultura, profetizzò l'imminente ascesa del generale romano al trono imperiale. Guadagnata la fiducia del capo nemico, passò quindi al servizio dei Romani, che tentarono, con il suo aiuto di ottenere il sostegno dei capi ebrei, meritando per questa sua attività la cittadinanza romana. Condotto a Roma, entrò alla corte del nuovo imperatore, assumendo il nome gentilizio della gens Flavia, e fu, come Tito Flavio Giuseppe, presente alla caduta di Gerusalemme e alla distruzione del Tempio. Autore inserito nella cerchia del potere, scrisse quattro testi giunti  intatti sino a noi in latino e greco, mentre se ne è persa la versione in aramaico che pure venne scritta: Antichità giudiache, La Guerra Giudaica, Contro Apione e l'Autobiografia.

La recente storiografia francese, che ha certamente influenzato Debray, dopo le pagine di P. Vidal Naquet in "Del buon uso del tradimento", ha fatto di Giuseppe una figura emblematica di un certo modo di sottomettersi al vincitore, non privo di ambiguità e di rischi. Ma la vera fortuna di Giuseppe Flavio  deriva principalmente dalla tradizione cristiana, che ne ha studiato e trasmesso le opere dall'antichità per tutto il medio evo, con un dibattito filologico e teologico che non si è esaurito nel mondo moderno, ed ha visto protagonisti non solo gli studiosi ma personaggi del calibro di Sant'Ambrogio e B. Spinoza. Per la cultura cristiana, infatti, più della vita dell'ex capo ebreo, e del suo essere o meno un traditore, fu fondamentale la citazione della vita di Gesù Cristo contenuta in una parte delle "Antichità giudaiche", detta Testimonium: "Ci fu in questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità e attirò a sé molti giudei e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato per denunzia dei notabili fra noi lo punì con la croce, non cessarono di seguirlo coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d'altre meraviglie riguardo a lui. Ancora oggi non è venuta meno la tribù di quelli che da costui sono chiamati cristiani

Solo un pazzo, o un esperto filologo, potrebbero affrontare l'azzardo di riassumere le appassionate pagine con cui Canfora guida il lettore nel "consueto accapigliamento interfilologico" delle letture diverse e delle sottilissime varianti del testo. Una per tutte, la traduzione di un piccolo verbo come "era" piuttosto che "era creduto", che ha fatto versare fiumi di inchiostro ai filologi. Quello che conta è che uno storico, contemporaneo di Gesù e di Pilato, nato ebreo e passato al vittorioso nemico romano, all'interno di uno studio storico serio e attendibile, ha citato la vicenda di Gesù Cristo in modo sostanzialmente analogo al racconto evangelico, fornendo quella che uno studioso vicino a Voltaire definì la "prova invincibile della religione cristiana".

Per secoli questo breve testo ha rappresentato la fede che si faceva realtà storica, spingendo numerosi studiosi alla ricopiatura e diffusione dei testi di Giuseppe Flavio all'interno della tradizione cristiana. Le pagine dell'ex capo ebreo hanno attraversato intatte secoli bui e periodi di gloria, le lotte religiose fino al ritiro della chiesa cattolica ad una funzione strettamente religiosa. Come scrive L. Canfora "...la presenza del Testimonium …è stato un fattore determinante della "presa in carico" dell'intera opera di Giuseppe da parte della vincente cultura cristiana...". E con il distacco proprio dello studioso, l'insigne storico barese conclude che: "l'appropriazione dell'opera dell'ebreo transfuga (ma non pentito) parve e forse fu, tra le altre, una preziosa arma intellettuale".

In questo tempo di Pasqua, per il lettore laico, inevitabilmente un pò eremita a causa della pandemia, con il frastuono della battaglia politica e della relazione fra Europa e Stati Uniti sempre più indistinto in sottofondo, c'è l'occasione per una "meditatio pauperis in solitudine", sulla scia di un vecchio, memorabile articolo di Domenico Del Rio, che ricordava "la pazienza dei poveri" in cui "poveri siamo tutti noi, perché tutti dobbiamo morire". La vicenda di Giuseppe Flavio, la storicizzazione della vicenda della morte di Gesù Cristo, sono nel senso indicato da Del Rio, "uno sprazzo di eternità", un momento di riflessione incredibilmente sereno e limpido, che se sei credente, "vince insensibilmente le tue resistenze. Ma anche se non credi ....ti conduce a maturazione a poco a poco".

Buona Pasqua a tutti, cristiani, ebrei o qualunque idea abbiate della religione.

Il libro

Il Libro

Euramerica

Di Gianfranco Pascazio
Edizioni l'Ornitorinco

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