29 Novembre 2020 Diario della settimana
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29 Novembre 2020 Diario della settimana

Nella settimana che si chiude,  le certificazioni della vittoria di J. Biden negli stati sottratti ai Repubblicani e al Presidente uscente nel voto del 3 novembre (Arizona – Georgia – Michigan – Pennsylvania), hanno reso ormai puramente teoriche e ridottissime le possibilità del Presidente Trump di ribaltare il risultato (vedi nella sezione “Voci dall’America” i post “Aggiornamento battaglia elettorale” e “Scenari improbabili”).  Si avvicina il momento in cui la Corte Suprema sarà l’ultima spiaggia, e allora si verificheranno le tante ipotesi fatte sulla affrettata nomina del giudice A. Barrett in ottobre. La tautologica dichiarazione del presidente uscente del 26 novembre “lascerò la Casa Bianca se il collegio elettorale insedierà Biden”, si presta a almeno tre letture: a) minimale: si tratta solo della prosecuzione della strategia volta a delegittimare Biden, dopo le azioni legali e la comunicazione violenta sulle elezioni “rubate”; b) monarchica:   Trump sdegnosamente intende trasformare la sconfitta in una sua vittoria contro la decisione sbagliata del collegio elettorale corrotto; primo passo per una nuova campagna nel 2024; c) intrigante: Trump si dimetterebbe non appena verrà formalizzata la vittoria di Biden, alimentando le ipotesi fatte sul successivo perdono da parte dell’effimero neo presidente Pence. Vedremo nelle prossime settimane.

Si cominciano intanto a delineare alcuni profili delle caratteristiche che la politica americana assumerà nei prossimi anni.  Tre fili rossi da seguire a breve scadenza:

1) rinnovo delle istituzioni

il nuovo presidente, al di là del ricambio dei dirigenti politici come da spoils system americano, ha la necessità di un profondo rinnovamento delle istituzioni di Washington, dopo quattro anni di anti politica. A livello ministeriale per il momento le scelte di Biden appaiono moderate, e in forte continuità con l’amministrazione Obama. La presenza di tre importanti probabili ministri di religione o origine ebraica (Binken agli esteri, Yellen al Tesoro, Mayorkas alla Sicurezza Interna) tranquillizzano l’alleato israeliano e insieme bilanciano il cattolicesimo del neo presidente. La nuova amministrazione, per incidere e durare oltre il primo mandato di Biden, deve riuscire a parlare a molti di coloro che, senza motivazioni estremiste, sono stati attratti dalla diversità di Trump. Per questo non sono necessari solo i nomi che riempiono le caselle del potere, ma i contenuti con i quali quel potere verrà riempito. Su questo indizi contraddittori arrivano dalla corte Suprema, modificata in senso conservatore e originalista dalle nomine della presidenza Trump. Nelle udienze di novembre su casi sensibili riguardanti la sanità pubblica e la libertà religiosa, erano emersi segnali di moderazione  (https://www.latimes.com/opinion/story/2020-11-25/supreme-court-amy-coney-barrett-conservative-supermajority-affordable-care-act-lgbtq).    Per contro, il 26 novembre, la Corte, con sussulto originalista, ha deciso 5 contro 4 di cassare le norme anti covid dello stato di New York, per i limiti posti alla libertà di culto, andando ben oltre le posizioni degli stessi leader religiosi.  Un percorso quello della Corte che andrà seguito con attenzione nei mesi a venire.

2) divisioni interne ai due partiti maggiori

Il Partito Democratico festeggia una mezza vittoria, perché riguadagna la presidenza, ma vede ridotta la maggioranza al Congresso e rischia di essere ancora minoritario al Senato. All’interno del partito la costruzione del nuovo gabinetto Biden ha sollevato qualche commento acidulo per il ritorno in massa di funzionari già in carica con B. Omaba, e per l’apparente irrilevanza dell’ala liberal; su questo si veda il post “Perché E. Warren non sarà ministro”. Con un senato in cui ogni voto conta, è essenziale per Biden riuscire a non scontentare il settore più radicale, che è comunque determinante per  convertire in leggi le politiche della nuova amministrazione. Almeno all’interno del suo Partito Biden sembra poter contare su una luna di miele politica.

Il Partito Repubblicano non ha reso pubblica la propria analisi della sconfitta elettorale, che viene elaborata nelle segrete stanze, mentre si è schierato con Trump nella battaglia legale sul voto, sia pure con alcuni tenui distinguo. L’analisi del voto determinerà la politica futura  del partito, e la sua identità durante la presidenza Biden, che presenta tre orizzonti temporali:  nel primo il GOP è concentrato sulla battaglia delle elezioni suppletive in Georgia - 5 gennaio 2021 - che decideranno quale maggioranza ci sarà in Senato nei prossimi due anni; nel partito ci si domanda se l’intervento diretto di Trump in questa campagna sarà utile o dannoso.  Il secondo orizzonte riguarda le elezioni di mid term fissate per il 2022: il GOP è già al lavoro per sostenere i prossimi candidati negli stati che secondo i risultati del 2020 potrebbero diventare a rischio. Terza scadenza, la prossima tornata presidenziale:  la più lontana, ma la più gravida di conseguenze, perché le scelte personali di Donald Trump, e la sua capacità di eventuale rinascita politica, condizionano le dinamiche interne nel partito già nell’immediato.

3) Politica estera: make America leader again

Come detto molti dei membri designati del gabinetto hanno una precedente esperienza nell’amministrazione Obama, e questo è vero anche per i responsabili della politica estera. Prima ancora che nella strategia, appare chiaro che la linea di Biden sarà differente nel metodo. Torna la centralità del Dipartimento di stato, una delle eccellenze della burocrazia americana, su cui nella sezione "Voci dall'America" viene dato conto di due interventi prestigiosi quanto agli autori e di alto livello quanto a contenuto.   Tornerà anche un maggiore coordinamento con il Pentagono, e quindi con la NATO; e a seguire verrà rilanciato il patto con l’Europa, anche se le dichiarazioni del commissario Dombroskis del 25 novembre sull’impossibilità di una accordo generale di commercio UE/USA hanno raffreddato qualche entusiasmo. Sembra poi pura speculazione la possibile pressione di Biden su B. Johnson per una soft brexit. Su tutti gli altri scenari geopolitici ci si deve aspettare la rimodulazione della politica americana alla ricerca della leadership condivisa. Quindi il rientro nelle istanze multilaterali neglette da Trump, e l’attenuazione dei toni. Lasciando che i dossier più spinosi come quello cinese, vengano dapprima gestiti nelle sedi tecniche. Per essere leader Biden non indosserà un cappellino colorato, ma cercherà di esercitare di fatto la leadership.

Per quel che riguarda i fili rossi di lungo periodo della storia americana, merita particolare attenzione l’apertura di un dibattito sul ruolo delle grandi corporation del digitale. Negli ultimi quattro anni c’è stata una sorta di sordina sull’argomento, malgrado la vasta eco di alcune audizioni parlamentari dei mogul del settore, come Zuckenberg e Bezos. La novità sta nella fonte, e negli argomenti: F. Fukuyama, coautore dell’articolo apparso su Foreign Affairs, analizzato nella nostra sezione “Voci dall’America”, è uno degli studiosi che hanno dominato il dibatto teorico degli ultimi vent’anni sul ruolo degli USA nel mondo e nella storia. Gli argomenti di Fukuyama, che includono richiami all’Europa e alla continuità storica nell’azione federale di contenimento dei trust, delineano un approccio che potrebbe attrarre anche consensi e contributi da parte di settori conservatori, pur essendo nel solco della tradizione liberal. E ha il pregio di fare proposte concrete.

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