1965: le mancate dimissioni del Presidente L. B. Johnson
Voci dall'America

1965: le mancate dimissioni del Presidente L. B. Johnson

Nei mesi successivi le elezioni presidenziali americane di novembre 2020 si è parlato a lungo di impeachment e possibili dimissioni del Presidente in carica, facendo riferimento ai pochi precedenti disponibili. Solo in questi giorni è emerso un nuovo caso, sino ad oggi, sconosciuto ai cronisti e agli storici: le mancate dimissioni nel 1965 del 36° Presidente USA, Lyndon B. Johnson (1908 - 1973).

Johnson era presidente solo da due anni, dopo l'assassinio di J. F. Kennedy a Dallas, e nell'autunno 1965 era pronto a dare le dimissioni a causa di una pesante depressione dopo un intervento chirurgico alla cistifellea presso l'ospedale militare di Bethesda, nel Maryland. Il veterano del senato, dopo una vita di battaglie politiche senza esclusioni di colpi, era pronto a lasciare tutto e ritirarsi nel suo ranch in Texas.

I dettagli dell'episodio emergono dalla pubblicazione dei diari di "Lady Bird" Johnson (1912 - 2007), al secolo Claudia Alta Taylor, la moglie del Presidente, che gli fu accanto tutta la vita, e lo convinse a superare quel periodo di dubbio e disperazione, permettendogli di completare gli ultimi tre anni del suo mandato.
Per volontà della Signora Johnson i diari non hanno potuto essere resi pubblici immediatamente, e Julia Sweig, autrice di "Lady Bird Johnson: Hidingin plain sight" (Random House), è il primo studioso che abbia avuto accesso al contenuto dei diari, dopo le anticipazioni della stessa ex first lady nel libro del 1970 "A White House Diary".

Tutti gli storici concordano sull'importanza della signora Johnson per la presidenza del marito: oltre a supportarlo emotivamente, è stata anche un consigliere utile nei momenti critici, sino alla decisione di rinunciare al potere nel 1968. Donna pratica e di successo nell'attività imprenditoriale, dal carattere collaborativo e aperto, la signora Johnson è stata sempre anche consigliere politico, in particolare sul movimento per i diritti civili, la promulgazione del programma Great Society e la guerra del Vietnam, e un obbiettivo giudice delle persone che avvicinavano il Presidente.

La Signora Johnson iniziò il suo diario poco dopo l'assassinio di John F. Kennedy e l'ascesa del marito alla presidenza nel novembre 1963, e lo tenne fino al gennaio 1969, quando lasciò Casa Bianca. Gli originali, consistenti di documenti cartacei e registrazioni vocali, sono conservati ad Austin, Texas, presso il museo presidenziale Johnson.

Già nel maggio 1964, sei mesi dopo essere entrato in carica, Johnson ebbe un primo dubbio sulla possibilità di completare il mandato, quando dovette decidere se candidarsi alle elezioni dell'autunno successivo. La signora Johnson gli fu vicino nella redazione di  un memorandum e di una bozza di lettera di rinuncia alle elezioni. Salvo poi incoraggiare il Presidente a resistere e presentarsi per la rielezione, che ottenne facilmente.

Nell'ottobre 1965, dopo l'intervento alla cistifellea, Johnson era probabilmente all'apice della popolarità, avendo ottenuto l'approvazione della legge sui diritti civili e mentre non era ancora impantanato nella guerra del Vietnam. Durante il ricovero però, in una notte insonne fu sopraffatto dallo stress del lavoro, e alla moglie e all'amico Abrham "Abe" Fortas, professore di diritto ed avvocato da lui nominato alla Corte Suprema, il Presidente sconfortato disse che che non avrebbe gestito "un altro pezzo di carta o un altro problema", e dettò alcune frasi sulla rinuncia alla Presidenza.

"Era come un uomo sul quale fosse improvvisamente caduta una valanga", ha scritto la signora Johnson. Conosceva i suoi drastici sbalzi d'umore meglio di chiunque altro, ma non se ne aspettava uno così grave in quel momento: "ecco la bestia nera della depressione nelle nostre vite".

Nelle note raccolte dal giudice Fortas, Johnson annunciava che avrebbe ceduto a tempo indeterminato l'incarico al vicepresidente Hubert H. Humphrey. E che per riprendersi si sarebbe allontanato da Washington: “voglio andare al ranch. Non voglio che nemmeno Hubert possa chiamarmi ". Passata la notte, sembrò tornare il sereno, e le note dettate da Johnson restarono solo negli archivi della moglie.

La signora Johnson lo aiutò in quel momento ad esorcizzare il demone della depressione, che si sarebbe ripresentato nel 1968, a causa dei dubbi di Johnson sull'eccessivo coinvolgimento americano nella guerra del Viet Nam, che era stato per di più nascosto al Congresso. Già nel Gennaio 1968, Johnson aveva ipotizzato di annunciare la sua rinuncia al secondo mandato nel discorso sullo stato dell'Unione. Una bozza segreta del discorso includeva il passaggio sulla rinuncia, che però non fu pronunciato nell'aula del Campidoglio. Ma poche settimane dopo, nel Marzo 1968,  quando Johnson ritenne arrivato il momento di informare la nazione sull'escalation dei bombardamenti sul Vietnam del Nord, finalmente si decise a sorpresa ad annunciare la rinuncia alle elezioni e il suo ritiro dalla vita politica, concretizzando quella decisione che per la prima volta era sembrata possibile nella notte di Bethesda tre anni prima.

Questa rivelazione non aggiunge nulla alla storia americana, e forse nemmeno alla storia della presidenza di L. B. Johnson, ma dice molto dell'uomo. Lo storico A M. Schlesinger jr, che non ebbe con Johnson un rapporto facile quando entrambi agivano nell'amministrazione Kennedy, ha ricordato che il 36° Presidente aveva la duplice ossessione della segretezza e dell'informazione. Ammantava le sue decisioni dietro un segreto assoluto, ma voleva essere informato di tutto, tenendo tre televisori sempre accesi nel suo studio, e "sfogliando rabbiosamente i giornali". In questo quadro psicologico Johnson fu il primo protagonista dell'allargamento dei poteri e del ruolo presidenziale che Schlesinger definì "la presidenza imperiale", che sarebbe arrivato a compimento negli anni di Nixon, complici le teorie di H. Kissinger (La Presidenza Imperiale; Ed. Comunità 1980).  Alla base del comportamento di Johnson c'era la fragilità umana, ben più significativa di ogni debolezza politica.

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