Il rapporto sulla riforma della Corte Suprema: cammino difficile

La Commissione Presidenziale sulla Corte suprema, annunciata lo scorso 9 Aprile da Joe Biden (vedi post del 24/10/2021 su questo blog), ha consegnato il 7 Dicembre la sua relazione finale, che include la proposta di abbreviare la durata del mandato dei giudici supremi, oltre ad una serie di modifiche procedurali nel funzionamento della corte.

Servirà un certo tempo per approfondire ogni aspetto del contenuto dei lavori e della relazione finale, che da sola consta di 294 pagine. Una prima analisi è possibile, e consente di dire che il tenore della relazione è problematico e prudente, ma che c'è chiarezza nell'indicare una proposta chiara: i relatori suggeriscono che sia fissato un limite di 18 anni per il mandato di giudice costituzionale, mentre la commissione non ha sciolto i dubbi, e quindi non ha dato indicazioni, circa il metodo da seguire, un emendamento costituzionale o una legge approvata dal Congresso.

Nell'immediatezza della pubblicazione alcuni membri della commissione si sono affrettati a precisare che il limite temporale al mandato dei giudici supremi proposto non è in sé sufficiente per frenare la deriva partigiana di una istituzione ed a recuperare la fiducia del pubblico, e anche che l'aumento del numero dei giudici potrebbe consentire un riequilibrio bipartisan che duri nel tempo.

Fra i primi commenti quello estremamente critico, di parte liberal, di Rosalind Dixon, docente al Tobin Center of Public Law di Sydney, ma talmente autorevole da essere stata ascoltata come esperta esterna dalla stessa commissione presidenziale. Secondo Dixon per affrontare con una certa efficienza la crisi della Corte, a nulla serve aumentare il numero dei giudici, mentre occorre intervenire in maniera anche più incisiva e drastica sulla riduzione della durata del mandato dei giudici, che a suo parere non dovrebbe superare i 12 anni. Secondo la giurista australiana limiti stretti e rigorosi alla durata del mandato dei giudici costituzionali sono uno strumento già ampiamente utilizzato dall'ingegneria costituzionale in tutto il mondo: fermo restando un limite massimo in carica di 18 anni, il modello britannico prevede limiti di età per i giudici, mentre il modello tedesco limita la durata del mandati, mentre solo gli Stati Uniti sono rimasti ancorati all'utopico mandato a vita.

A supporto della sua tesi Dixon ricorda le corti costituzionali più potenti e rispettate sono proprio quelle che hanno durata del mandato giudiziario più breve: in Germania, i giudici della Corte costituzionale federale sono nominati per un unico mandato di 12 anni non rinnovabile; analogamente in Sud Africa, mentre in Colombia e a Taiwan, i giudici costituzionali sono nominati per un mandato di otto anni.

I limiti temporali del mandato giudiziario presentano diversi vantaggi: incoraggiano il regolare avvicendamento dei membri della corte suprema, e ne aggiornano nel tempo il consenso democratico nel successivo processo di controllo giurisdizionale. Inoltre, scoraggiano la nomina di giudici troppo giovani e ideologicamente orientati, che hanno la possibilità di rimanere in carica a lungo, condizionando la corte in una particolare direzione ideologica predeterminata.

In qualunque situazione istituzionale democratica, la corte costituzionale ha un ruolo critico e decisivo: decide su questioni legali complesse quasi sempre legate alla politica, per cui l'intreccio fra dottrina giuridica e credo politico è inevitabile. Ma affinché un tribunale possa guadagnare e mantenere la fiducia del pubblico, tali decisioni devono riflettere i giudizi giuridici, morali e politici individuali dei singoli giudici, non posizioni o piattaforme ideologiche originate dal meccanismo di nomina, che poi si ripetano uniformemente negli anni. Il processo decisionale delle corti di giustizia deve restare quello di una deliberazione collettiva, non di un costante confronto tra fazioni distinte per le loro posizioni ideologiche, e in cui il successo non deve essere bastato (solo) sul numero dei voti espressi, ma (soprattutto) sulla qualità e universalità delle argomentazioni.

La Corte Suprema degli Stati Uniti, secondo Dixon, dimostra nella sua giurisprudenza di finire nello stallo ideologico partigiano ogni qualvolta si deve occupare di questioni "costituzionali", mentre conserva la capacità di agire con ponderate deliberazioni collettive quando si occupa di questioni che definiremmo "amministrative", lontane dal clamore delle dispute sui diritti e sulle libertà costituzionali. Ciò che è possibile in ambito amministrativo deve essere possibile in ambito costituzionale.

Solo se l'attuale situazione di polarizzazione partitica in funzione della nomina presidenziale dovesse peggiorare, secondo Dixon potrebbe essere giustificato ampliare la corte con il così detto "court packaging", che però comporta il rischio di innescare una dinamica conflittuale ancor peggiore dell'attuale contrapposizione entro la corte. Il pericolo è di sviluppare ciclici contrasti, per cui ad ogni avvicendamento nel controllo del parlamento, si assisterebbe ad una variazione delle dimensioni della corte. Un numero eccessivo di giudici impedirebbe procedure efficienti, e produrrebbe risultati disomogenei e imprevedibili, come dimostra l'esperienza della Corte Suprema dell'India, che conta circa 30 giudici. Si deve in sostanza evitare di spianare la strada ai già troppo aspiranti autoritari che a diverse latitudini sfruttano sistemi legittimi per arrivare al potere per promuovere obiettivi antidemocratici piuttosto che democratici.

Dixon ammonisce che comunque nessuna riforma è priva di rischi: i giudici sottoposti a scadenza troppo ravvicinata del mandato possono essere condizionati nei loro giudizi dalle opportunità che si aprono alla fine del loro mandato, per cui questo tipo di innovazione dovrebbe essere accompagnato da norme di raccordo che ad esempio impediscano ai giudici supremi di accedere a determinati incarichi dopo il pensionamento.

Un altro rischio è che la Corte Suprema si trasformi in un organismo troppo correlato alle contingenze della politica, a causa di un mandato troppo corto, e proprio questa considerazione ha indotto la Commissione presidenziale a proporre un termine di 18 anni, anche se è vero che con il termine a 12 negli USA la corte resterebbe costante al massimo per un singolo mandato presidenziale. Anche per questo una norma collaterale potrebbe stabilire norme restrittive per le nomine presidenziali negli ultimi due anni di mandato, e sarebbe opportuno anche emendare per questi casi la procedura senatoriale di conferma dei candidati.

Ma il rischio più grande è che la riforma, comunque venga approvata, non riesca nemmeno a partire, per i possibili ricorsi giudiziari che finirebbero davanti alla stessa Corte oggetto di riforma, che con ogni probabilità potrebbe benissimo respingere ogni modifica appigliandosi ad una lettura "originalista" dell'articolo 3 della Costiruzione degli Statoi Uniti III, che stabilisce le garanzie di indipendenza della magistratura.

Da questo punto di vista sembrerebbe legalmente più sicura la strada dell'emendamento costituzionale, che però ha maggiori ostacoli politici, in quanto richiede oltre alla maggioranza congressuale anche la maggioranza tra gli stati, che allo stato attuale, e in una prospettiva di perdurante polarizzazione, sarebbe difficilmente raggiungibile.

Riformare ogni costituzione è un'impresa difficile: un approccio troppo rapido e radicale rischia di far saltare, invece di rafforzare, l'equilibrio istituzionale costruito nei secoli, così come un'iniziativa troppo moderata rischia di essere improduttiva, favorendo un lento declino dell'integrità del sistema istituzionale e del rispetto pubblico.

L'esame dello stato del sistema giudiziario e politico americano induce a pensare che sia necessario un cambiamento significativo, ancorché limitato, di un'istituzione che mostra segni evidenti di obsolescenza, a dispetto dell'orgoglio originalista, troppo spesso adottato per pura convenienza,

https://www.whitehouse.gov/wp-content/uploads/2021/12/SCOTUS-Report-Final.pdf

https://www.nytimes.com/2021/12/31/opinion/supreme-court-term-limits.html

https://www.whitehouse.gov/pcscotus/