Gli ultimi giorni di Pompeo (Mike)

Il Guardian lo scorso 14 gennaio sotto l'azzeccato titolo "Gli ultimi giorni di Pompeo", ha attirato l'attenzione sulle posizioni estreme assunte nelle ultime settimane dal segretario di Stato, Mike Pompeo.

Dopo avere sarcasticamente archiviato le proteste del presidente eletto per i ritardi nella transizione, e come Trump avendo rifiutato di riconoscere la sconfitta elettorale, Pompeo si sta distinguendo per cieca fedeltà al capo e attivismo nel predisporre ostacoli alla nuova amministrazione democratica. Per mesi ciò che Pompeo "non" ha fatto, ha segnato la politica estera americana: non ha dato seguito ai negoziati commerciali multilaterali in Europa e Asia; si è ritirato dall'ultimo accordo nucleare con la Russia; ha lasciato al cortigiano Kushner la responsabilità degli accordi in Medio Oriente; non ha tolto dal collimatore della sua furia l'Iran.

Adesso alla vigilia del passaggio di consegne sin qui boicottato, l'ex Rappresentante del Kansas e ex capo della CIA sta dimostrando un  frenetico attivismo. A partire dalle comunicazioni,  inondando la rete con una "bufera di tweet di autocompiacimento, al ritmo di due dozzine al giorno",  orientati sia ad una prima autodifesa di fronte alla storia, che alla preparazione della corsa presidenziale del 2024.

Del tutto deprimente la relazione con gli alleati, pur retoricamente evocati ("questa amministrazione ha fatto più di ogni altro per costruire alleanze che garantissero gli interessi americani") ma talmente lontani da costringere Pompeo ad annullare il suo viaggio di commiato in Europa perché nessuno fra i suoi omologhi europei era disposto a riceverlo.

Solo negli ultimi dieci giorni Pompeo ha:
- rimesso Cuba nella lista degli stati sponsor del terrorismo,
- designato i ribelli Houthi in Yemen come organizzazione terroristica straniera,
- allentato le restrizioni sui contatti tra diplomatici americani e di Taiwan
- affermato che l'Iran è una "base" per Al Qaeda.

Mosse fatte con stile discutibile, punteggiate da infortuni professionali (ha confuso sciiti e sunniti, attribuito a Barack Obama la responsabilità per un trattato sul controllo degli armamenti firmato da Ronald Reagan), senza nessuna copertura al Congresso, e incurante delle conseguenze che le agenzie umanitarie ritengono inevitabili nello Yemen, dove diventerà impossibile la consegna di aiuti umanitari alle popolazioni Houthi.

Oltre che a confermare la sua fedeltà al Presidente sotto impeachment, Pompeo cerca di alzare i costi politici della mancata transizione verso l'amministrazione Biden, che se vorrà tornare allo status quo pre-Trump, dovrà affrontare maggiori problemi ed un surplus di impopolarità. Anche se un anonimo funzionario del Dipartimento di stato ha commentato che "Gran parte del danno che Trump e Pompeo hanno arrecato è stato fatto a mezzo di azioni esecutive, quindi può essere invertito con un'azione esecutiva contraria".

Il New York Times ha commentato; "Lo sforzo di Pompeo di bruciarsi tutti i ponte alle spalle potrebbe aiutarlo con gli elettori delle future primarie, se come pare ha ambizioni alte per i prossimi anni. Ma l'egoismo a scapito dell'interesse nazionale non è ciò che caratterizza un diplomatico o un patriota".

https://www.theguardian.com/us-news/2021/jan/14/mike-pompeo-lashes-out-reign-ends

https://www.nytimes.com/2021/01/14/opinion/mike-pompeo-state-department.html?action=click&module=Opinion&pgtype=Homepage